Scritto da Andrea Griffa – Giugno 2007

È passata poco più di una decina di giorni dal disastro di Greensburg e noi siamo in Kansas non molto distanti. I media riempiono le trasmissioni televisive e radiofoniche con storie di sopravvisuti alla devastazione totale.

Il 4 Maggio 2007 , intorno alle 9.45/9.50 pm un tornado dal diametro di 2,7 kilometri di scala EF5 ha colpito in pieno la città radendo al suolo il 95% delle costruzioni. Si tratta del primo EF5 dopo il tornado di Moore presso Oklahoma city dell’ormai lontano 3 Maggio 1999 e di uno degli echi ad uncino più famosi della storia.

Apprendiamo dalle radio e dalle Tv che la città non esiste più e che il tornado ha ucciso 11 persone, un miracolo se pensiamo che cosa era quel mostro. Greensburg aveva circa 1600 abitanti e si estendeva su di una superficie di 4 km quadrati, una area piuttosto grande se si pensa alla media delle cittadine rurali americane.

Sappiamo molto bene che l’impresa di entrare a girare un documentario nella città è pressoché impossibile con la tragedia così vicina, data anche l’inagibilità ancora piuttosto tangibile; ad ogni modo capita poche volte nella vita di avere l’occasione di potere assistere e documentare qualcosa di così distruttivo e violento per cui dobbiamo comunque tentare, magari inventandoci uno stratagemma.

Giunti a Haviland, a una decina di km da Greensburg veniamo a sapere che la strada per Greensburg è chiusa e assiduamente pattugliata dalle forze di Polizia locali che permettono l’entrata solo ai sopravvissuti, ai tecnici/mezzi di soccorso e ai senza tetto per il recupero dei beni personali rimasti tra le macerie, per evitare fenomeni di sciacallaggio.

Mentre scendo dalla nostra vettura parcheggiata mi capita di urtare la portiera di una macchina producendo un lievissimo e quasi impercettibile segno sulla carrozzeria. L’auto in questione appartiene ad uno dei sopravvissuti di Greensburg che distava pochi metri da me e si accorge del fatto: l’uomo a questo punto si avvicina a me mettendo in piedi una discussione; dopo alcuni minuti di parlottamenti risolviamo la situazione e decido di tirare fuori il coniglio dal cilindro: il signore in questione, Scott, abitava a Greensburg, ha il pass per entrare nella sua città e potrebbe darci una mano per entrare, perché non chiedergli un aiuto? Decido di tentare di spiegargli la nostra situazione: siamo stormchasers e il nostro obiettivo è quello di girare un documentario su Greensburg per educare anche il popolo italiano sui tornado e sulla devastazione che questi fenomeni possono provocare.

Scott è molto caro agli stormchasers che sono stati i primi a recare aiuti quella notte oscura del 4 Maggio 2007 e da quel momento da persona un po’ ostile per la sua macchina cambia radicalmente atteggiamento e diventa nostro amico, prendendo la decisione di accompagnarci a compiere un vero e proprio tour per la città rasa al suolo.

Giunti al posto di blocco la Polizia parla con Scott per alcuni minuti e sembra restia a darci la possibilità di proseguire. In seguito Scott risale sulla sua macchina e prosegue; giungiamo anche noi al posto di blocco e il poliziotto ci ferma, chiedendomi di abbassare il finestrino: mi raccomanda di stare vicino a Scott e mi consegna il famigerato pass!

È fatta, seguiamo Scott davanti a noi e ci dirigiamo verso Grensburg: l’audacia ci ha premiato.

Una volta giunti a Greensburg l’atmosfera diventa spettrale, quasi surreale: l’incredulità, lo sbigottimento, l’incapacità di potere ammettere che quel disastro si è compiuto pervadono le nostre menti. Lo sconcerto e lo smarrimento mi accompagnano in ogni metro che percorro in quel disastro e fatico ad assoggettarmi all’idea che un tornado possa compiere un simile disastro.

Il 90% delle abitazioni non esiste più, le case sono completamente livellate e di fronte ai nostri occhi si pone lo spettacolo di un disastro simil nucleare, poco differente dalle fotografie di Hiroshima dopo la bomba atomica del 1945 che pose fine alla seconda guerra mondiale.
Osservo gli alberi come sono stati spogliati di tutti i rami e delle foglie e scorgo veri e propri proiettili conficcati nei fusti.
La vista del disastro è quasi paradossale e pieno di forti contrasti umani: si vedono bambole rimaste intatte in mezzo alle macerie, sedie di fianco a cumuli di mattoni, uomini anziani corrugati nei loro volti che scavano con delle pale nei terreni delle loro ex proprietà e gru che demoliscono quelle poche strutture di cemento che presentano ancora qualche muro portante in piedi.

È così che comprendo che cosa può significare un tornado e che con i tornado non si scherza. La mia mente si estrania da quel devastamento e tenta di immaginare cosa avrei potuto vedere alle 9.45 di quella sera se fossi stato fermo in quel punto, ad osservare il mostro nella sua avanzata ineluttabile.
Le parole non sono per nulla sufficienti per descrivere come ci si può sentire quando si è circondati da tal annichilamento di una città un tempo ordinata, appartata nelle pianure del Kansas e fiduciosa nell’avvenire.

Scott decide di portarci ad osservare la sua ex casa e osserviamo solo le fondamenta della casa e le solite macerie indifferenti, distaccate dalla realtà delle cose come se fosse tutto normale.
Nel frattempo ci racconta tutte le sensazioni che ha vissuto. È incredibile la forza d’animo che ci trasmette e la ferma volontà di dare un contributo per ricostruire la città; la sensazione di unione e fratellanza con i suoi concittadini riempie i suoi discorsi, tutti sono fiduciosi per i fondi che il governo donerà alla comunità di Greensburg.
Ormai è ora di terminare il nostro viaggio guidato, e Scott ci conduce verso il 5% della città che ha ricevuto danni minori e ad occhio sembrano danni da EF1-EF2: sembra quasi una sfortuna sfacciata nei confronti di quella maggioranza della città che ha subito i danni più ingenti, ma anche questo fa parte dei tornado. In realtà il mesociclone della supercella ha cominciato ad occludersi su Greensburg e il tornado ha subito un forte cambiamento direzione verso ovest pieno risparmiando l’estrema parte nord est della città.
Ci fermiamo e salutiamo il nostro amico, ringraziandolo della importante possibilità che ci ha concesso.